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Villa Serra

 

 

NOTE GENERALI

Note generali

E’ con l’affascinante storia del loro nome che comincia la storia delle ortensie: fu il francese “cacciatore di piante” Philibert de Commerson che nel 1771 così battezzò alcuni esemplari provenienti dalle Indie Orientali in onore di Hortense de Nassau, figlia del principe di Nassau, appassionato botanico, che lo aveva accompagnato in una spedizione.
Ed è sempre il loro nome, anche se stavolta quello botanico, Hydrangea, che da una gentile principessa ci conduce ad una terrificante figura mitologica: è Hydra, con capelli a forma di serpente simili alle asperità presenti sopra la capsula che ne contiene i semi.
L’ opinione più ampiamente condivisa è tuttavia quella circa la derivazione del nome Hydrangea dalle due parole greche hydros (acqua) e angeion (vaso), proprio per la particolare forma delle capsule contenenti i semi, che assomigliano a dei piccoli otri per l’acqua.

1. DISTRIBUZIONE IN NATURA
Le ortensie da un punto di vista botanico fanno parte del genere Hydrangea, che è stato classificato nella famiglia delle Hydrangeaceae. Si tratta di una pianta antichissima, di cui sono state trovate tracce fossili collocabili in era Terziaria (Eocene, Oligocene e Miocene), da 70 a 12 milioni di anni fa.
Le zone di differenziazione del genere Hydrangea sono diverse: le specie Hydrangea macrophylla, H. serrata, H.involucrata, H.paniculata, H.aspera, H.heteromalla e la rampicante a foglia decidua H.petiolaris sono originarie dell’Asia Orientale, H.arborescens e H.quercifolia si sono differenziate nella parte orientale degli Stati Uniti, mentre le “strane” ortensie rampicanti sempreverdi H.seemani e H.serratifolia provengono dagli altipiani temperati della parte occidentale del Centro e Sud America .

2. INTRODUZIONE IN EUROPA
In Inghilterra si parlò di ortensia nel 1736, si trattava di una H. arborescens proveniente dalla Pennsylvania. In America il nome Hydrangea comparve per la prima volta nel testo del naturalista Grovinius (Flora Virginica, 1739). Nei giardini giapponesi, invece, la presenza e la popolarità delle ortensie era già notevole durante il diciassettesimo secolo, ma dato che le sue frontiere furono chiuse dal 1639 al 1856 a qualunque contatto col mondo esterno, l’accesso alle sue varietà era praticamente impossibile. Grazie comunque alle “incursioni” di alcuni botanici europei (tra cui vanno ricordati il botanico svedese Carl Peter Thanberg, allievo di Linneo e il dottor Philipp Franz von Siebold) alcuni esemplari vennero trafugati ed ebbero presto una descrizione botanica, anche se inizialmente vennero classificati nel genere Viburnum.
Nel diciannovesimo secolo comunque molti esemplari di H.macrophylla, H.serrata, H.involucrata, H.paniculata furono introdotti in Europa dall’Estremo Oriente, mentre solo alla fine dello stesso secolo H.aspera e H.heteromalla furono introdotte in Inghilterra dal Nepal.
Infine le ortensie rampicanti del Centro e Sud America arrivano in Europa nei primi anni del ventesimo secolo.

3.I FIORI DELLE ORTENSIE
Le ortensie differiscono dalla maggior parte delle piante a fiore perché non hanno petali vistosi: se consideriamo una rosa, per esempio, questa è composta da petali più o meno colorati e vistosi. Prima che la rosa si apra, il bocciolo è protetto da delle brattee (foglie modificate) verdi e resistenti dette sepali: le ortensie non hanno petali e così hanno trasformato i loro sepali rendendoli colorati e appariscenti in modo che possano svolgere le funzioni che in altre piante sono svolte dai petali (per es. quella di attrarre gli insetti che visitando i fiori svolgono un ruolo fondamentale nella impollinazione).
Quello che comunemente chiamiamo fiore nell’ortensia in realtà è un’infiorescenza, ovvero un insieme di numerosi piccoli fiori.
Generalmente ogni infiorescenza è formata da fiori fertili e fiori sterili: i fiori con grandi sepali sono sterili e non producono semi, ma servono per attrarre gli insetti che invece si posano sui piccoli e poco vistosi fiori fertili in grado di produrre semi.

Le infiorescenze dell’ortensia differiscono molto da una specie e da una varietà all’altra soprattutto perché varia la disposizione e la proporzione tra fiori sterili e fertili; per quanto riguarda la disposizione, la maggior parte delle specie di ortensia hanno infiorescenze a corimbo con i piccoli fiori inseriti in una struttura più o meno sferica, mentre solo due specie; H.paniculata e H.quercifolia hanno un’infiorescenza allungata detta panicolo, nella quale i fiori si inseriscono lungo un’asse; per quanto riguarda la proporzione tra fiori fertili e sterili alcune ortensie hanno infiorescenze formate sia da fiori sterili che fiori fertili, altre hanno infiorescenze formate solo da fiori sterili o solo da fiori fertili.
Le varietà della specie più comune di ortensia, H.macrophylla, possono avere due forme diverse di infiorescenza a corimbo: mophead e lacecap. L’infiorescenza mophead è globosa, più o meno grande e di colore diverso a seconda della varietà, ed è formata da numerosi vistosi fiori sterili e solo alcuni (in alcune varietà nessuno) piccoli fiori fertili nascosti: generalmente le infiorescenze mophead durano più a lungo perché i fiori sono per la maggior parte sterili e, non essendo impollinati, non subiscono le modifiche dovute ai processi di fecondazione e di formazione dei semi.
L’infiorescenza lacecap è meno rotondeggiante ed i fiori sono disposti su una superficie più piana con una o due file esterne di fiori sterili dai grandi sepali disposti intorno ad un gruppo centrale formato da numerosi fiori fertili. I fiori fertili al centro del corimbo vengono impollinati e gradualmente cambiano colore e producono i semi; è per questo motivo che le infiorescenze lacecap durano meno delle mophead, in quanto la pianta dopo l’impollinazione concentra le proprie energie nella produzione dei semi.
La maggior parte delle ortensie selvatiche hanno infiorescenze del tipo lacecap, sebbene alcune abbiano invece delle infiorescenze a panicolo (H.paniculata e H.quercifolia). Questi panicoli sono infiorescenze allungate (tipo pannocchia) su cui sono disposti fiori fertili e sterili che si aprono in successione a partire dalla base dell’infiorescenza.

4. COLTIVAZIONE
Non ci sono difficoltà particolari nella coltivazione delle ortensie: sono robuste e vivono bene in molte regioni temperate. Se messe nell’angolo “sbagliato” del giardino possono assumere un aspetto un po’ “trasandato”, ma raramente muoiono; tuttavia le ortensie sono in grado di fare ben più di una lotta per la sopravvivenza: se prestiamo attenzione alle modeste richieste di questa pianta, in cambio ci offriranno bellissime fioriture per molti anni.

4.1 ESPOSIZIONE
La maggior parte delle ortensie sono piante di sottobosco ed è di questo che dovremmo tenere conto quando scegliamo dove piantarle: la copertura di alberi di alto fusto fornisce l’ombreggiatura ideale.
Tuttavia nei nostri giardini non sempre abbiamo a disposizione questa situazione ideale, per cui nella nostra scelta teniamo conto che il sole del mattino o del tardo pomeriggio non arreca particolari danni mentre un’esposizione prolungata al sole delle ore più calde può “macchiare“ il fiore ed infine bruciacchiarli e provocare ustioni sulle foglie: una esposizione a nord, est oppure ovest è una buona sistemazione per un’ortensia se non abbiamo a disposizione un grande albero che schermi il sole delle ore più calde.

4.2 TEMPERATURE
La resistenza al gelo varia con la specie: le più resistenti sono H.paniculata e H.arborescens , poiché queste due specie entrano in vegetazione più tardi delle altre e fioriscono sulla vegetazione dell’anno; la loro crescita è vigorosa ed ha luogo quando le temperature sono già miti.
Anche la rampicante H.petiolaris e H.quercifolia sono ben adattate ad inverni freddi (resistono fino a –25°C) anche se la seconda richiede comunque estati non troppo fresche per avere una buona fioritura.
H.macrophylla ha una buona resistenza alle basse temperature quando è in dormienza ( ha perso le foglie ed è in riposo vegetativo), ma, soprattutto le varietà dalla fioritura più precoce (H.m. ”Alberta”, ”Floralia”, ”Libelle”, ”Blaumeise”) possono essere danneggiate dalle gelate tardive primaverili (marzo-aprile): i giovani germogli possono essere danneggiati e si può arrivare a perdere anche buona parte della fioritura.

4.3 UMIDITA’
Le ortensie hanno la reputazione di essere piante assetate. L’interazione fra il fattore sole e fattore acqua dà informazioni più significative che non considerando solo il fattore acqua: le ortensie sono un buon indicatore della presenza di un qualche squilibrio fra i due fattori.
E’ importante considerare questa interazione nel decidere quando innaffiare. Qualche volta , in un giorno caldo, nonostante il suolo sia abbastanza umido, le foglie afflosciate possono darci l’impressione di una pianta stressata ed assetata: in realtà la spiegazione di questo”malessere” potrebbe essere la alta temperatura dell’aria nelle ore più calde, che provoca un rapido incremento della traspirazione di acqua dalla notevole superficie fogliare, al quale la pianta risponde con l’afflosciamento delle foglie come strategia di difesa. Una volta che la temperatura si abbassa nelle ore più fresche della giornata, le foglie recuperano e la pianta non sembra soffrire danni permanenti da questa situazione di stress se il terreno è abbastanza umido.
Quando, invece, piante in una posizione ombreggiata mostrano gli stessi sintomi di stress e non recuperano nelle ore più fresche della giornata la situazione è un po’ più preoccupante. Questo indica che il suolo è troppo asciutto e, oltre alla ovvia annaffiatura, si può intervenire anche nel medio termine con tecniche che migliorino la capacità di ritenzione idrica del substrato: per esempio concimazioni organiche in primavera (compost, lettiera di foglie, letame ben maturo) che contribuiscono a migliorare la struttura del terreno e la pacciamatura (cioè la copertura del terreno per esempio con corteccia di pino) per ridurre l’evaporazione di acqua dal suolo.
Comunque in periodi di clima secco, una breve pioggia non ha gran valore ed è sempre bene irrigare con attenzione, bagnando bene il terreno, ma senza eccedere fino a provocare ristagni, ovvero una saturazione idrica duratura del terreno, che può provocare danni alla pianta per la riduzione drastica degli scambi gassosi fra radici e substrato, con conseguenti sintomi di asfissia radicali.

4.4 SUOLO E MESSA A DIMORA
Le ortensie sono in grado di adattarsi a tipologie diverse di suolo, ma crescono meglio su suoli con una buona ritenzione idrica, ovvero capacità di trattenere l’acqua e mantenersi umidi senza ristagni.
Per esempio, una terra argillosa ricca è più adatta di una sabbia leggera, anche se questa può essere migliorata con l’apporto abbondante di sostanza organica, come compost, lettiera di foglie, letame ben maturo. Anche i terreni ciottolosi possono essere ammendati con la concimazione organica, in modo da incrementare la ritenzione idrica. Argille molto pesanti , tenaci e con scarsa struttura, che presentano ristagni nella stagione piovosa e sono dure come pietra nella stagione secca richiedono a loro volta un piano di miglioramento a lungo termine consistente in lavorazioni (vangatura) e apporti abbondanti e ripetuti di sostanza organica. La sostanza organica svolge una duplice funzione: dal punto di vista chimico, apporta con un rilascio graduale elementi nutritivi, soprattutto azoto; dal punto di vista fisico, alcuni composti tipici della sostanza organica in decomposizione , come gli acidi umici, si legano alla frazione minerale del suolo, migliorandone la struttura, aumentando la capacità idrica, il drenaggio e di conseguenza gli scambi gassosi dell’apparato radicale. Questi effetti migliorativi della sostanza organica comunque non sono immediati e se vogliamo piantare un’ortensia in un terreno non adatto, perché troppo tenace o calcareo, si consiglia di scavare una buca ben più grande delle dimensioni del “pane di terra” e mettervi a dimora la nostra pianta usando al posto della terra di scavo un terriccio per acidofile (ovvero piante che amano substrati acidi); l’apporto di sostanza organica non dovrà comunque mancare.
Per quanto riguarda invece i rinvasi si possono usare i substrati per acidofile che si trovano in commercio, oppure prepararsi da soli il terriccio; una buona miscela potrebbe essere la seguente: torba (preferibile una buona torba scura) 50%, pomice (per il drenaggio) 30%, sabbia di fiume 10%, foglia di faggio 10%.Il substrato va arricchito di elementi nutritivi con la concimazione di cui parleremo nel prossimo paragrafo. Il periodo migliore per il rinvaso è quello della ripresa vegetativa in primavera quando si ha il picco della attività radicale.

4.5 CONCIMAZIONE
Il periodo migliore per la concimazione organica è gennaio–febbraio, prima che le piante entrino in vegetazione, perché l’effetto fertilizzante non è immediato; si consiglia di interrare il composto con una zappatura leggera, per creare un contatto più intimo fra la sostanza organica ed il suolo che contiene la microflora responsabile dei processi di decomposizione e mineralizzazione indispensabili per trasformarla in elementi nutritivi utilizzabili dalla pianta: per.es l’azoto, contenuto prevalentemente nella sostanza organica sotto forma di proteine, non assorbibili dalle radici per le loro notevoli dimensioni, viene trasformato da particolari batteri presenti nel suolo in una forma minerale più semplice, quella nitrica o ammoniacale, che invece la pianta riesce ad assorbire.
Consigliamo comunque anche una concimazione chimica ad inizio vegetazione per soddisfare più prontamente gli alti fabbisogni nutrizionali della pianta in questa fase di rapido accrescimento: questo consiglio vale sia per le piante in vaso che quelle in terra. Un buon prodotto dalle caratteristiche interessanti è Osmocote, un concime in forma granulare che ha il pregio di rilasciare gradualmente durante la stagione vegetativa gli elementi nutritivi, riducendo le perdite per dilavamento, diluendo nel tempo l’effetto fertilizzante, limitando i rischi di bruciatura dell’apparato radicale per eccesso di dosaggio e riducendo drasticamente il numero delle somministrazioni (ne basta una a primavera che garantisce sei mesi di rilascio!!). In commercio esiste anche una formulazione particolarmente indicata per le ortensie.
Si consiglia di non concimare a fine estate, quando la pianta indurisce e lignifica la vegetazione che ha prodotto nell’anno e si prepara ad entrare in dormienza per superare indenne i rigori dell’inverno: questo apporto nutritivo potrebbe rallentare questi processi e dare nuovo stimolo ad una ripresa vegetativa esponendo la vegetazione non sufficientemente indurita ai primi freddi autunnali.

4.6 pH DEL SUOLO E COLORE DEI FIORI
Una delle cose che più si fissano nell’immaginario collettivo sulle ortensie è che i fiori di una stessa pianta possono cambiare colore virando dal blu al rosa in diverse tonalità o viceversa.
I fiori di diverse varietà di ortensia mostrano questo fenomeno, anche se sono alcune varietà di H.macrophylla e H.serrata a mostrare le più nette variazioni di colore (tra le macrophylla: ”Mathilda Guges”, ”Enziandom”, ”Geoffrey Chadbund”, tra le serrate: “Blue Deckle”, ”Diadem”, “Miranda”).
Generalmente le varietà a fiore bianco tendono a mantenere il colore o tutt’al più acquistano leggere tonalità rosa o blu in fioritura avanzata; nelle varietà a fiore bianco con infiorescenza lacecap (“Tokyo Delight”, “Lanarth White”) spesso i piccoli fiori fertili che si
trovano al centro possono virare dal blu al rosa o viceversa.
Si è osservato che le fluttuazioni nel colore sono strettamente correlate ad alcune caratteristiche chimiche del suolo, soprattutto il pH. Il pH è un valore che esprime l’acidità di una sostanza esprimendo in una scala logaritmica la concentrazione degli ioni idrogeno responsabili del comportamento acido: 7 è il pH di un suolo neutro, suoli acidi hanno valori di pH inferiori a 7, mentre valori superiori a 7 ( fino a14) corrispondono a suoli alcalini (o basici). Un pH 6 è sufficientemente acido perché varietà geneticamente predisposte riescano a sviluppare fiori blu, anche se valori più bassi ( 4-4,5), corrispondenti a suoli più acidi, favoriranno in alcune varietà un blu ancora più intenso.
Perché otteniamo questa colorazione blu in suoli acidi?
Sembra che le ortensie abbiano bisogno di assorbire molto alluminio per mantenere la colorazione blu: infatti, se analizziamo i sepali di un’infiorescenza blu, riscontreremo un tasso di alluminio ben dieci volte quello riscontrato in un’infiorescenza rosa. Ma l’alluminio nel suolo si presenta come sale solubile e quindi assorbibile dalle radici solo in suoli acidi col massimo di disponibilità a pH 4-4,5; nei suoli alcalini,invece, l’alluminio è presente ma in forma non solubile e quindi indisponibile per la pianta. Un altro elemento da controllare per ottenere tonalità blu è il fosforo: è consigliabile utilizzare fertilizzanti a basso contenuto di fosforo e alto di potassio (un rapporto NPK 25-5-30 va bene). Pur tuttavia, non è solo la chimica del suolo a determinare queste variazioni di colore; in realtà fondamentale è anche l’aspetto varietale. Ci sono varietà che a partire dal rosa di un ambiente neutro, ostentano delle tonalità rosse intense, fino al viola, in suoli acidi, invece dell’atteso blu: per esempio all’interno del gruppo delle H.serrata ci sono diverse varietà che non assumeranno mai una tonalità blu. Tra queste possiamo citare H.serrata “Grayswood”, “Beni Gaku”, “Preziosa”; quest’ultima, in suoli acidi, mostra durante la sua prolungata fioritura un’ampia gamma di rosa e rossi sempre più intensi via via che ci avviciniamo all’autunno. Anche tra le macrophylla ci sono varietà che, in suoli acidi, mantengono la loro colorazione rossa, anzi la intensificano: tra queste, per esempio, “Altona“, “Alpengluhen”, ”Harry’s Red”, oppure le varietà che arrivano fino alle tonalità del porpora e del viola come “Brunette”, “Merveille Sanguine”, “Ami Pasquier”.
Quindi se nel nostro giardino vogliamo delle fioriture blu, oltre ad avere la situazione chimica adatta, dobbiamo scegliere varietà predisposte ad assumere queste colorazioni, tra quelle che gli inglesi chiamano “good bluers”: tra queste ricordiamo le H.macrophylla “Marechal Foch”, ”Blue Prince”, ”Domotoi”, ”General Vicomtesse de Vibraye”, “Mariesii” e le H.serrata “Diadem”, “Blue Deckle”, “Blue Billow”.
Una volta scelta la varietà, se la nostra pianta è in vaso, possiamo ottenere dei blu intensi ricreando nel substrato il chimismo adatto con l’apporto di sali di alluminio: in commercio si trovano prodotti “azzurranti” a base di solfato di alluminio da somministrare alle piante in soluzione acquosa a più riprese durante la stagione vegetativa con la concentrazione indicata sulla confezione (generalmente 1,5-3 g per litro di acqua: un eccesso di alluminio può essere tossico per la pianta!!).
Se piantiamo la nostra ortensia in giardino, otterremo senza interventi particolari blu tanto più intensi tanto più il suolo è acido; se invece il nostro suolo è neutro o leggermente alcalino ( pH 7-7.5) potremmo acidificare il terreno con l’apporto di zolfo, ma tale processo è velocemente reversibile perché il terreno tende a riacquisire il proprio equilibrio chimico ed anche l’apporto di alluminio serve a poco perché parte viene bloccato in forme insolubili e parte si disperde lontano dall’apparato radicale: in queste situazioni è meglio “rassegnarsi” ad avere delle bellissime ortensie di altri colori, senza operare inutili forzature.

4.7 POTATURA
In alcuni appassionati di giardinaggio l’impulso a potare è sempre molto forte e talvolta si compiono vistosi errori con le ortensie: in ogni caso non potare è sempre meglio che potare male!
Se non potiamo per niente le nostre ortensie queste potrebbero espandersi troppo, assumere un aspetto un po’ disordinato, produrre fiori più piccoli ma, comunque, continueranno a crescere e a fiorire. E’ solo quando un giardiniere inesperto e dalla forbice facile interviene che si può perdere buona parte della fioritura e anche rallentare lo sviluppo della pianta. Una potatura corretta, tuttavia,
è utile per guidare la pianta in uno sviluppo armonico ed equilibrato.
I criteri che dovrebbero guidare un corretto intervento di potatura sono pochi e semplici.
Per quel che riguarda le H.macrophylla e H.serrata, che fioriscono sul legno dell’anno precedente, ci si limita ad una ripulitura del secco, alla eliminazione degli steli più deboli ed alla rimozione dei fiori secchi tagliando sopra l’ultima coppia di gemme, che sono quelle che porteranno i fiori nella stagione successiva: l’opinione comune è che il vecchio fiore non andrebbe tolto fino a primavera perché si pensa che esso protegga il nuovo germoglio; tuttavia le lacecap perdono quasi tutti i loro fiori con il gelo invernale….
E’ anche buona abitudine, nelle piante già di 5 o 6 anni di età, eliminare circa un terzo dei fusti tagliandoli a livello del suolo, scegliendo quelli più vecchi che generalmente sono più contorti e molto ramificati: questa potatura serve per promuovere il rinnovo graduale della pianta, per avere infiorescenze più grandi, per dare più luce ed aria all’interno, riducendo i rischi di attacchi da parassiti fungini..
Per quel che riguarda H.paniculata e H.arborescens, che fioriscono sul legno dello stesso anno, la potatura può essere più drastica: si taglieranno gli steli lasciando solo due gemme alla base ponendo le premesse per infiorescenze molto grandi.
Tutti gli interventi di potatura ora descritti vanno effettuati quando la pianta è in riposo vegetativo: il periodo migliore è febbraio-marzo.
Le rampicanti (H.petiolaris e H.seemani) invece richiedono una limitata potatura che serve più che altro a contenerne la crescita e tale intervento si può effettuare anche con la pianta in vegetazione come una potatura verde.
Per H.aspera ,H.involucrata e H.quercifolia si consigliano solo potature di riordino e contenimento da effettuare dopo la fioritura.

a) Ortensia adulta in inverno
b) Rami vecchi da eliminare

c) Ortensia dopo la potatura
d) La nuova crescita in primavera

Fig 4: Schema per la potatura di rinnovo di H.macrophylla



5. AVVERSITA’

5.1 MALATTIE FUNGINE

Mal bianco dell’ortensia

Agente : Microsphera polonica Siem. ( forma sessuata)
Oidium hortensiae Jorst. (forma asessuata)
E’ un fungo, più precisamente un ascomicete, che colpisce prevalentemente le foglie, ma in alcuni casi attacca anche i fiori ed i rami.
La presenza della malattia si manifesta con macchie più chiare sulla lamina fogliare che ben presto si rivestono di una patina dall’aspetto polverulento di colore bianco-grigiastro: questa patina non è altro che il micelio del fungo. Col progredire dell’attacco le parti colpite evidenziano una reticolatura nerastra, la parte del lembo colpita tende a deformarsi e a necrotizzare; le aree fogliari interessate dall’infezione sono solitamente circondate da un anello rosso-violaceo.
Compare di solito in estate e prolifera in condizioni di aridità.
Per controllare questo oidio sono utili alcuni accorgimenti agronomici: per es. utilizzare un tipo di irrigazione che bagni meno la chioma( irrigazione a goccia o a capillare) .
Nel caso l’attacco è tale da richiedere interventi di tipo chimico, sono utilizzabili diversi fungicidi antioidici ad azione specifica, come i Triazoli (Penconazolo, Tetraconazolo, Esaconazolo,..); in attività preventiva può essere impiegato lo Zolfo, che può anche essere usato in miscela con i suddetti antioidici specifici.

Maculature fogliari dell’ortensia

Agenti: Ascochyta hydrangeae C et M. Arn.
Phyllosticta Hydrangeae Ell. et Ev.
Si tratta di una malattia fungina che si manifesta sulle foglie con macchie più o meno regolari di colore bruno; queste maculature possono estendersi fino a confluire tra loro, provocando un deperimento generalizzato della lamina fogliare. Spesso a livello delle aree interessate si hanno delle lacerazioni dei tessuti fogliari. Possono essere interessati anche i rami.
Per questo tipo di malattia è opportuno e spesso sufficiente prendere le opportune precauzioni di tipo agronomico per evitare ristagni d’acqua e l’eccessiva umidità atmosferica, con apporti idrici moderati e frequenti ed arieggiando gli ambienti nel caso di colture protette.
Nel caso si verificasse l’attacco del patogeno, spesso sono sufficienti trattamenti con prodotti a base di rame che comunque sono consigliati anche per la prevenzione.

Botrite

Agente: Botryotinia Fuckeliana Fuck. (forma sessuata)
Botrytis Cinerea Pers. (forma asessuata)
La Botrytis è un fungo parassita, cosmopolita ed ubiquitario con la capacità di adattarsi anche alla vita saprofitaria: queste sue caratteristiche lo rendono particolarmente virulento ed in certe condizioni difficile da controllare. Non colpisce solo l’ortensia, ma un’infinità di altre piante ornamentali e da frutto (Rosa, Vite, Fragola,etc..).
Le condizioni termoigrometriche favorevoli allo sviluppo del fungo sono elevata umidità dell’aria e temperature tra i 5 e i 30°C: si sviluppa in condizioni di scarsa ventilazione, soprattutto quando tarde gelate sono seguite da piogge prolungate ed in presenza di forte umidità.
La malattia può interessare tutti gli organi vegetativi della pianta, dalle foglie agli steli, ai fiori ed alle gemme, dove il patogeno si manifesta con la caratteristica “muffa grigia” compatta, rappresentata dai conidi (spore) della forma asessuata (Botrytis).
Data l’importanza delle condizioni climatiche sullo sviluppo della malattia, molto importanti diventano le pratiche colturali mirate alla prevenzione: nella coltivazione protetta sono fondamentali il giusto dosaggio degli apporti idrici (evitare ristagni idrici), il controllo delle temperature e l’arieggiamento degli ambienti, la densità delle piante.
Il ricorso alla lotta chimica, quando necessario, consiste in interventi, anche ripetuti, a base di antibotritici specifici (Clozolinate, Iprodione, Fenexamid,Pyrimetanil).
Comunque nella coltivazione all’aperto è difficile che si arrivi a dover effettuare trattamenti chimici contro questa affezione fungina.

Armillaria mellea
Il fungo attacca generalmente l’apparato radicale o il colletto della pianta.E’ capace di vivere come saprofita su radici di alberi morti: da qui strutture filamentose(rizomorfe) crescono attraverso il suolo fino a che non raggiungono una radice viva;gli apici delle rizomorfe penetrano nei tessuti della radice e da allora il fungo vive come parassita sulla pianta. Placche di tessuto fungino filamentoso bianco-crema(micelio) si formano nella zona sottocorticale, a livello del colletto e dell’apparato radicale: il fungo inizia a “strangolare” la pianta rallentando fino ad impedire il flusso dell’acqua e dei nutrienti dall’apparato radicale.Il primo sintomo è il rapido deterioramento di cespugli o loro parti fino a poco prima apparentemente in buona salute: alcuni steli si mostrano avvizziti, disidratati, come se avessero sofferto grosse carenze d’acqua.
Su piante con attacchi iniziali o non molto estesi si può effettuare una ripulitura chirurgica, eliminando alla base la parte interessata e disinfettando poi il colletto e la zona adiacente con sali di rame.
Nel caso l’affezione sia già avanzata non è possibile il risanamento: si consiglia vivamente di espiantare la pianta con tutto l’apparato radicale e distruggerla e poi rimuovere il suolo circostante per eliminare il più possibile le rizomorfe, sostituendolo con suolo non infetto.

5.2 INSETTI NOCIVI

Afide del garofano e dell’ortensia
Rhopalosiphum dianthi Kalt.

R. dianthi è un afide della grandezza di circa 2 mm. Di colore verdastro o giallo-verdastro.
Gli afidi , comunemente detti pidocchi delle piante, hanno corpo piriforme , spesso protetto da cera; le ali sono membranose e spesso assenti o molto ridotte; hanno un apparato boccale pungente- succhiatore: pungono i tessuti della pianta, spesso localizzandosi in prossimità delle nervature fogliari, per succhiare la linfa ricca di zuccheri.
La sua attività trofica può provocare il deperimento della pianta, soprattutto in corrispondenza di massicce infestazioni su piante giovani o appena germogliate; può, tramite la puntura, essere vettore di alcuni virus.
La lotta si può effettuare con prodotti più leggeri , ma meno persistenti , come il piretro o i suoi derivati (piretroidi) che agiscono per contatto ( quindi bisogna prestare bene attenzione a bagnare bene la vegetazione dove sono localizzati gli afidi), oppure con prodotti più recenti , più specifici, più persistenti come Imidacloprid ( Confidor) ,prodotto sistemico che agisce per contatto ed ingestione.

Pulvinaria dell’ortensia
Eupulvinaria Hydrangeae Stein.

Si tratta di un coccide ( cocciniglia) che staziona soprattutto nella pagina inferiore delle foglie, ma colonizza anche rametti e steli fiorali: si individuano facilmente le femmine mature per il loro vistoso ovisacco bianco ceroso contenente centinaia di uova. Anche questo insetto punge i tessuti della pianta per succhiare la linfa, inducendo uno stato di sofferenza e deperimento nella pianta; inoltre i vari stadi di Pulvinaria producono una grande quantità di melata, una secrezione zuccherina che imbratta i tessuti, accentuando l’asfissia già direttamente provocata dagli strati di colonie fioccose che avvolgono le parti colpite e divenendo substrato nutritivo per particolari funghi che provocano il nerume o fusaggine.
La lotta contro la Pulvinaria è generalmente di tipo chimico e si effettua nei casi di infestazioni massicce : è possibile intervenire in autunno-inverno o fine inverno , contro le forme svernanti, con uno o più trattamenti a base di Oli bianchi, da soli o in miscela (attivati) con Piretroidi, Fenitrotion, Clorpirifos-metile; con questi trattamenti si è osservata una mortalità di circa il 90-95% delle forme svernanti. Si consiglia anche di effettuare una potatura di rimonda per eliminare le parti più incrostate e deperienti.

5.3 VIROSI
L’ortensia è oggetto di alcune infezioni virali, di cui la Maculatura anulare (HRSV) è sicuramente la virosi più specifica. Questo virus provoca delle deformazioni delle foglie con arricciamenti più o meno intensi ; a livello delle stesse foglie si possono notare delle variegature e delle anulature chiare, le infiorescenze diventano più piccole e con minor numero di fiori.
Si ricorda anche un’infezione dell’ortensia, provocata da un micoplasma, che provoca l’inverdimento delle infiorescenze, determinando anche uno scadimento estetico oltre che funzionale.
L’ortensia viene colpita anche da altri virus che provocano mosaicature fogliari e clorosi nervali.
Tutte queste affezioni virali sono difficili da trattare e nel caso si manifestassero è meglio distruggere la pianta per impedire che la patologia si diffonda

5.4 FISIOPATIE
Clorosi ferrica
Un terreno eccessivamente calcareo (pH 8-8.5) o l’utilizzo di acque di irrigazione particolarmente dure può indurre nelle ortensie una fisiopatia detta clorosi ferrica. In questi terreni la presenza di calcare rende il ferro molto meno disponibile perché in forme insolubili : le ortensie sono particolarmente sensibili a questa immobilizzazione del ferro e manifestano sintomi di carenza soprattutto a carico delle foglie, che divengono intensamente colorate di giallo; questa colorazione è dovuta ad una difficoltà da parte della pianta a produrre clorofilla ( il pigmento responsabile della colorazione verde) , per la cui sintesi il ferro è indispensabile. Il prolungarsi delle condizioni predisponesti la clorosi porta a schiarimenti sempre più intensi della lamina che può diventare biancastra, la foglia dissecca e necrotizza a partire dai margini.
Nelle piante in vaso, possiamo intervenire somministrando alla pianta una integrazione di ferro con prodotti specifici: solfato ferroso oppure sali complessi (chelati organici di ferro) che hanno il pregio di proteggere il ferro somministrato dai processi di immobilizzazione.
Per quanto riguarda le piante in terra, la somministrazione di chelati di ferro (Sequestrene) rinverdisce temporaneamente le foglie ma non risolve il problema alla radice in quanto il problema del calcare rimane.

 

Vivaio Borgioli Taddei - Via di San Carlo 9F - Firenze - info@ortensie.it
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